lunedì 19 gennaio 2009

Chiamiamo le cose con il loro nome.


Prima di tutto apro il post con i ringraziamenti, per la loro amichevole ospitalità, all'intraprendente amica dell'Appletarte G. e a suo fratello F.
La loro simpatia e disponibilità hanno reso piacevolissimo il nostro week-end in montagna. Se a questo aggiungiamo che la neve era perfetta e le piste ben battute, non potevamo chiedere di meglio.

Ok, ora passiamo a parlare di alcune cosette che proprio non vanno.
Io sono veramente stanco di entrare in ristoranti, o meglio bettole che, per sembrare quello che non sono, mettono in menù nomi di piatti altisonanti per servirvi, alla fine, cibo tradizionale, semplice e anche molto, ma molto mal cucinato.
Ora, io apprezzo che un ristoratore "pastore" si voglia elevare, e che studi e si evolva, ma deve farlo, non basta scrivere "mosaico di verdure grigliate" per servirvi un volgarissimo tagliere con zucchine, melanzane e peperoni (non di stagione!) malamente scottate al grill, o, quel che è peggio, "tortino di cereali glassato al formaggio fuso", che alla fine si è rilevato essere una semplice zuppa di orzo e fonduta, che del tortino aveva solo il nome, e se servito in una ciotola un pelino più grande, sarebbe andato benissimo per il giorno di festa in un qualunque carcere italiano.
Insomma, una sbobba rivisitata nel nome, ma non nella sostanza. Tralascio il resto che avrei volentieri fatto a meno di assaggiare se non fosse stato per la simpatia dei commensali, e concludo dicendo che quando ho fatto notare con gentilezza alla sguattera, perchè tale era, che la seconda bottiglia di Marina Cvetic era andata, cioè maderizzata, ella ha fatto arrivare in sala la tenutaria sommelier che ha ribattuto il nostro giudizio in modo polemico e saccente. A quel punto le soluzioni erano due, o come avrei voluto, bisognava alzarci e andare via, o come è stato, rimanere ed ingoiare bocconi amari, -
sic!- letteralmente.
Alle signore che gestiscono la bettola, che ancora antepongono l'H alla scritta osteria dico, cercate di fare più attenzione ai fornelli e meno alle parole del menù. Chiamate le cose con il loro nome e seguite la tendenza della gastronomia attuale, tornate alla cucina del territorio, se vi riesce.
Quello che non vi riuscirà mai è rivedermi ad un vostro tavolo.

Per fortuna, il giorno dopo, ci siamo immersi nel cuore del Parco Nazionale d'Abruzzo, da Alfedena a Pescasseroli, ed allora è tutto un susseguirsi di garbata ospitalità, di facce sincere e nobili e... di cucina semplice, e neanche tanto, ma strepitosamente gustosa.

Per cui un altro ringraziamento va fatto all'amico M. che ci ha fatto scoprire questa trattoria, parecchio rustica, dove vi troverete a servirvi da soli, nel senso che coprirete voi,
con le pietanze in mano, il tragitto che va dalle cucine alla sala.
A ben guardare gli avambracci della cuoca, la signora gentilissima che produce piccoli prodigi culinari, vi renderete conto della qualità assoluta del cibo proposto.

Una polenta pasticciata da urlo, uno gnocco di castagne sublime, una fetticcina al ragù di cervo perfetta, salsicce fumanti e agnello morbido come burro, patate al forno e broccoletti saltati, da manuale.
Roba semplice e per questo grande, tradizionale, e per questo difficile da trovare, roba che per volontà di questa gente fiera, mantiene il suo nome.

Insomma, non "Strisce di pasta disposte in ordine sparso al sugo di ungulato cornicefalo degli Abruzzi", ma semplici, banalissime e strepitosamente buone "Tagliatelle al ragù di cervo".

Per omaggiare "La Signora Cuoca",
scomodo molto volentieri Giuseppe Maria Crespi.

Nessun commento: